L’età sperimentale, i nuovi paradigmi del lavoro e la collaborazione fra generazioni
Amo leggere, lo faccio ogni volta che i vari impegni mi lasciano qualche spazio tranquillo e, ogni tanto, anche quando la lista del “to do” consiglierebbe altre attività. Per darmi un alibi rispetto a questa priorità un po’ prepotente, spesso leggo libri e articoli che sento in qualche modo vicini al mio lavoro, in grado di portarmi spunti e suggerimenti utilizzabili nell’ambito professionale. Ogni tanto però esco dal solco e mi immergo in altri tipi di letture, notando poi con piacere che anche così si possono trovare spunti utili sul fronte lavorativo.
Erri De Luca è uno degli autori contemporanei che seguo con piacere, per cui mi sono rapidamente tuffato nella lettura del suo nuovo libro “l’età sperimentale”.
Non un romanzo, questa volta, ma una serie di sue riflessioni sull’avanzare dell’età, dalla sua prospettiva di anziano ancora attivo e consapevole di questa “anomalia” rispetto al passato. Il senso dei suoi pensieri è chiarissimo fin dalle prime pagine, in cui scrive: “È un’età sperimentale. Ho la strana sensazione che nessuno è stato vecchio prima di me. La vecchiaia di chi mi ha preceduto non mi fa da modello e non mi prepara a niente”, e ancora “Nessuna generazione prima della mia è stata vecchia in un formato così numeroso. La vecchiaia è diventata maggioranza. Perciò si tratta di un esperimento. È più attiva di quelle precedenti.”
Lo scrittore parla dei suoi settanta (e passa) anni, descrivendoli con lo stupore di chi si sente privilegiato rispetto alle precedenti generazioni.
Sono riflessioni che, oltre a far parte della nostra esperienza personale (abbiamo tutti qualche esempio di persone un po’ avanti con gli anni ma attivi e in ottima forma), rendono evidente lo spreco che ancora oggi si fa in quelle aziende in cui si considera un peso ogni collaboratore che si inoltri nella seconda metà dei suoi 50 anni, cioè addirittura venti anni prima dell’età sperimentale di cui parla De Luca e, comunque, molto in anticipo anche rispetto a quella della pensione.
De Luca coglie in due parole l’essenza dello sforzo che dovremmo fare tutti noi che siamo in qualche modo coinvolti nell’organizzazione del lavoro, cioè la sperimentazione. In altre parole, per quanto questa vitalità della terza età sia una assoluta novità, almeno in termini così diffusi, perché non coglierne gli aspetti positivi anche in ambito professionale?
Sarebbe utile: i trend demografici sono già scritti, non occorre la sfera di cristallo per sapere quante persone entreranno e quante usciranno dal mondo del lavoro oggi e nei prossimi vent’anni, con un saldo negativo preoccupante, a meno che… a meno che non cambi il nostro modo di pensare rispetto a come coinvolgere più a lungo anche i meno giovani.
Il mercato si sta adattando rapidamente alle richieste dei giovani, che vedono nel bilanciamento fra vita professionale e personale un elemento importante. Si sta adattando anche al fatto che siano meno stabili e che il turn over nelle loro fasce sia più alto.
Quando arriverà (e arriveremo) a comprendere che fra i cambiamenti necessari c’è anche quello relativo ai punti positivi di un buon mix fra giovani e meno giovani, cercando di cogliere il meglio che ogni fascia di esperienza può portare? Questa è la sperimentazione di cui abbiamo bisogno rapidamente, che parte da un cambio di mentalità e sposta le lancette della terza età (il terzo cavallo, come lo chiama De Luca) decisamente più avanti. Una sperimentazione che dovrebbe vedere allineate aziende e legislatori, al fine di agevolare il percorso: sfida grande ma non impossibile perché conveniente.
Conviene a tutti, infatti. Al paese, per recuperare energie che saranno sempre più importanti. A chi è già entrato in certe fasce di età, che probabilmente deve però sforzarsi per acquisire una buona dose di flessibilità, mantenere alta la curiosità verso il nuovo e smettere di pensare di aver già visto e fatto tutto. Conviene ai giovani, che possono trovare nei colleghi esperti una spalla solida per evitare di bruciarsi con errori dettati dall’inesperienza e per crescere bene.
Ma conviene anche ai manager ancora in carriera, che dovrebbero più di tutti guidare questa evoluzione di pensiero e di approccio operativo. Anche loro, per quanto ancora sotto certe soglie anagrafiche, a quel punto ci arriveranno velocemente, e raccoglieranno i frutti della cultura che avranno saputo sviluppare e diffondere nelle aziende. Approccio di cui si gioveranno solo se sarà stato all’insegna dell’integrazione vera e della capacità di collaborare non solo fra funzioni, reparti e livelli gerarchici, ma anche fra generazioni distanti, trasformando le differenze in complementarità e le difficoltà in opportunità.
Come sempre, aggiornare la cultura aziendale e rivedere la propria organizzazione significa conoscerne gli elementi fondanti e i processi chiave, analisi non sempre facile da svolgere in profondità ma essenziale nei momenti di trasformazione.
E voi avete provato a pensare a come mettere in atto un’organizzazione di questo tipo, in grado di attraversare con sicurezza ed efficacia questi tempi, così ricchi di situazioni inedite, da esplorare a mente aperta e con scopi chiari e condivisi?
Per quanto mi riguarda, essendo non tanto lontano dalle età sperimentali, sto iniziando a cimentarmi in attività coerenti non solo con la mia data di nascita, ma anche con il periodo dell’anno che si avvicina, quindi ho fatto un po’ crescere la barba, indossato il giusto abito da lavoro e sono pronto a ricevere le vostre lettere, piene dei desideri (organizzativi) che vorreste vedere realizzati sotto l’albero. Affrettatevi, che per Natale e per l’anno nuovo manca pochissimo, vi aspetto e, intanto, vi auguro buone feste e un nuovo anno ricco di soddisfazioni e bei risultati!
Gabriele Ghinelli